PRIMO AMORE
Ultimo capitolo
Capitolo
12
Durante
il viaggio di ritorno Chiara e suo marito cinguettano come due fringuelli,
facendo l’elogio sperticato delle due donne appena conosciute; Teresa, più
prudente, si limita ad accodarsi con qualche nota, io, invece, sto muto e,
quasi per dissociarmi fisicamente da loro, mi rannicchio il più possibile, cupo
nell’animo e nel viso, in un angolo del sedile posteriore.
Dentro
di me pesto e ripesto il mio malumore nei confronti di Floriana che non ricorda
un’acca del nostro infantile innamoramento, mentre io, in tutti questi anni
l’ho rivissuto di continuo, molto più frequentemente dei vecchi film replicati
in TV.
Il
senso di colpa, derivante dall’aver soffocato una storia d’amore prima che
nascesse, mi ha spinto a idealizzare quella ragazzina, e, se fossi stato un
poeta come Dante, ne avrei fatto la mia musa ispiratrice, pur non avendo avuto
alcun rapporto con lei… o forse proprio per questo.
Quando
fantasticavo di lei, non osavo guardare negli occhi mia moglie, temendo di
svelare i pensieri traditori nei quali ero perso… E cosa scopro Adesso? Di me,
nella sua memoria, non è rimasta neanche una labile traccia.
Preso
da questo arrovellamento, arrivati a casa, scendo dall’auto, mantenendo un
assoluto silenzio, e mi rifugio in camera mia.
Mai
ho trascorso una notte così travagliata come quella che è appena passata. Sono
state ore interminabili, durante le quali la mia autostima andò sempre più
afflosciandosi.
A un certo punto mi sono sentito dissociato in
me stesso, come attore che recita più parti nello stesso film: ero l’offeso
risentito, il pensatore ragionatore e il pentito rimpiangente l’amore della
moglie Elisa, non goduto appieno.
L’offeso
risentito ripeteva sempre la stessa solfa: «Come ha potuto cancellarmi dalla
sua mente in modo così totale?»
Il
pensatore ragionatore, dall’alto della sua fredda logica, se la rideva di
quest’assurdo piagnisteo: «Come puoi pretendere che una donna adulta rimanga
devota a un’ infatuazione infantile?»
Al
che, l’offeso, incapace di cogliere l’ironia dell’altro, ribatteva serioso: «Io
però l’ho fatto».
«Non
al cento per cento» si intromise il terzo me, il rimpiangente pentito, che era
assai timido e, quando parlava, neanche veniva preso in considerazione dagli
altri due. Il suo dire fu così sommesso da sembrare un ronzare, a confronto del
quale, quello di un moscone sarebbe
stato un aereo a reazione.
Lo
stesso concetto fu espresso dal pensatore obiettivo: «Tanto devoto non sei
stato, visto che ti sei sposato». E lo fece con tono così autoritario che
l’offeso sentì il bisogno di giustificarsi.
«Lei
era partita, e avvertivo la necessità di una compagna».
E
il pensatore: «Questo vale anche per lei».
Allora
l’offeso ritornava al punto di partenza: «Neanche il più pallido ricordo ha
conservato di quell’amore, bello e sfortunato».
E
siccome il discorso non progrediva come logica comanda, il pensatore obiettivo
si stufò di perdere il suo tempo e si richiuse nel silenzio dell’incompreso.
Di
questa tregua approfittò il rimpiangente per esporre la sua versione dei fatti:
«Quello per Floriana fu il primo amore, ma, non per questo, più acceso di
quello provato per Elisa. Quando l’abbiamo conosciuta, ciascuno di noi si sentì
avvampare per un motivo o per l’altro: ricordo che tu, ragionatore, rimanesti
incantato della sua arguzia, e tu che fai l’offeso sbavavi per la sua
bellezza…».
Man
mano che parlava il timido rimpiangente acquistava sicurezza e la sua voce
aumentava di volume, ma purtroppo si era ormai nel cuore della notte e, a causa
della giornata faticosa ed emozionante, caddi nel sonno come un fico maturo
cade per terra, di botto, senza preavviso.
Non
per questo il pentito rimpiangente, che ormai aveva messo la quinta, fermò il
suo eloquio, che avvertivo come sottofondo del mio assopimento, anche se non
capivo.
Mi
svegliai nella tarda mattinata con delle parole che mi turbinavano nella mente,
come foglie secche frullate dallo scirocco.
Ero
come chi ha in testa un motivetto ma non ne sa rendere conto
Dovetti
faticare molto per tirare fuori da quel mulinello un paio di parole e comporle
in una frase di senso compiuto, questa: “D’altro si nutre il vero amore”.
«D’altro…»
ripeto tra me, nel tentativo di capire e chiarire l’idea, ancora oscura, che sta
germinando nella mia mente.
L’aggettivo
altro, ragiono, si riferisce a un
sentimento amoroso diverso da quello provato per Floriana e quindi a una
passione concreta e libidinosa, dominata dal desiderio fisico di fondersi due
in uno. Questo sentimento altro, io
l’ho provato per Elisa. Quello per Floriana è stato amore platonico, del tutto
astratto, ove le pulsioni carnali non sono mai entrate.
Un
sentimento che si è alimentato di nulla, continuando a sussistere anche quando,
nel corso degli anni, la figura di Floriana sfumava nell’evanescenza del
ricordo (la descrizione che ne faccio nel libro è infatti una mia invenzione).
Pensare a lei era soltanto un’abitudine, una soggettiva evasione dalla realtà,
un rifugio della mente, una poesia non scritta, un pretesto per sottrarre alla
rimozione un periodo della mia vita… ed ecco si accende la lampadina della
verità: non Floriana, ho amato in tutti questi anni ma la mia infanzia.
Questa
è solo una prima verità con la quale da questo momento devo fare i conti. La
seconda segue a cascata e riguarda la definizione dell’amore: non quello
platonico è l’amore vero, ma quello vissuto, condiviso, appagante, fatto di felicità
e angoscia, possesso e smarrimento di sé. L’amore vero ha un oggetto concreto e
reale anche se trasfigurato e idealizzato, oggetto che si impone alla coscienza
dell’altro fino a farne parte. Le prime due affermazioni mi portano
immediatamente a una terza verità: l’esperienza del vero amore, io l’ho avuta
solo con Elisa, su questo non c’è dubbio.
La
riflessione sul fenomeno misterioso dell’innamoramento, dei suoi aspetti
diversi e anche contrastanti non fu così sbrigativa come la sto raccontando, ma
si trascinò a lungo, tanto che Teresa non vedendomi apparire in cucina per la
colazione, venne a bussare alla porta della mia camera.
«Va
tutto bene?» mi chiede da dietro l’uscio.
«Tutto
bene!» la rassicuro.
«Ti
ho portato la colazione» mi annuncia.
«Entra
pure» le dico.
Sono
ancora a letto e devo avere un aspetto strano, perché lei sgrana gli occhi appena
mi vede.
«Che
c’è?» faccio io.
«Che
c’è?» chiede lei di rimando.
«Sembra
che tu abbia visto un fantasma», dico io, ti manca solo che ti si drizzino i
capelli in testa».
Lei
sorride alla mia battuta, poggia il vassoio con latte, caffè e una tortina,
fatta da lei, sul mio grembo, si siede sulla sponda del letto: «Sembri smagrito
e hai le occhiaie…»
«Non
ho dormito bene» le spiego paziente.
«Eppure…»,
continua lei, «sembri maledettamente in forma».
«Lo
sono» faccio io.
«Dietro
la trincea delle borse gonfie, i tuoi occhi brillano di luce».
«C’è
il sole oggi» dico io, indicando la finestra.
«Non
di luce esterna», specifica lei, «ma è un bagliore interiore quello che
traspare nei tuoi occhi».
«Sarà!»
faccio io che non ho voglia di discutere, e comincio a mangiare.
Lei
capisce, non insiste e cambia argomento.
«Ha
telefonato Chiara» mi comunica.
«Uh
uh» faccio con la bocca piena.
E
lei continua: «Per Natale, Ninni e la sua bella tornano da Palermo».
«Uh
uh» la incoraggio, ho davvero una fame tremenda stamattina.
«Per
l’occasione ha invitato a pranzo Grazia e Floriana» dice lei e noto
un’esitazione sul nome di Floriana. Poi continua: «Vorrebbe che ci andassimo
pure noi»
«Uh
uh» ripeto io che non riesco a interrompere il mio pasto.
«Che
significa questo “uh uh”?» chiede lei. «È un sì o un no?».
Inghiotto
l’ultimo boccone di torta e chiarisco: «È un sì».
«Bene!»
fa lei.
E
io chiedo a mia volta: «Perché non vi dovremmo andare? Abbiamo passato il
Natale sempre assieme».
«Pensavo
che non lo gradissi per il fatto di Floriana» chiarisce lei.
«Quale
fatto?»
«Il
fatto che non ti abbia riconosciuto e che non si ricorda di te».
«Che
mi sia dispiaciuto è vero» confesso io. «Ma questo non significa che non debba
trascorrere il Natale con i miei».
«Puoi
sempre starle lontano», mi suggerì lei, «e non parlarle».
«E
perché mai?» esclamo io.
«Magari
non avrete argomenti in comune» fa lei.
«Un
argomento, di cui le voglio parlare, ce
l’ho» affermo con sicurezza.
«E
sarebbe?»
«Elisa»
dico io. «Le parlerò della donna che ho veramente amato».
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ROMANZO COMPLETO È LEGGIBILE GRATUITAMENTE IN
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