ALBERTO DI GIROLAMO
PRIMO AMORE
Capitolo 3
Anche questa sera la pasta le è venuta
croccante senza essere rinsecchita. Neanche i pizzaioli di professione riescono
ad ottenere un simile risultato. Quanto al condimento, la salsa è sempre
fresca, di giornata, e la mozzarella di qualità. Basterebbero solo questi due ingredienti
per condire la pizza ma Teresa ci aggiunge qualche pezzettino di acciuga e
ortaggi di stagione come zucchine e melenzane. Al massimo ci mette pure i
funghi, ma rifiuta categoricamente di allontanarsi dalla tradizione, mettendoci
sopra, come va di moda, gamberi, salmone, salame piccante, salsiccia e altre
stranezze.
Io e Ninni, quando è la serata della pizza,
ingaggiamo, per gioco, una competizione a chi ne mangia di più, mentre Teresa
sorride beata per la festa che facciamo alla sua arte culinaria.
Le pizzette sono ottime, ma la cena va avanti
in un malinconico silenzio per l’assenza di Ninni.
«Questa non me la doveva fare: partire
così, all’improvviso, senza neanche salutare» dico io, masticando
svogliatamente.
«Ti telefona appena arrivano.»
«Non gli pago l’affitto per portarvi le
ragazze».
«L’amore fa perdere la testa» sospira mia
sorella.
«Esattamente, che ti ha detto?» chiedo con
la bocca piena.
«Mi ha detto che erano in viaggio per
Palermo e che gli dispiaceva di non poter gustare le mie pizze».
«Insomma una fuitina in piena regola» affermo
con disappunto.
«Usi parole d’altri tempi» mi contraddice
Teresa.
«In che altro modo potrei definire il loro
comportamento?» chiedo piccato.
«Fuga romantica», propone lei, «oppure
convivenza».
«Prima di sposarsi», disapprovo, «non è
una bella cosa».
«Non so se è una bella cosa ma oggi la
maggior parte dei giovani fanno così: prima convivono e poi si sposano, se
stanno bene insieme».
Continuo a deplorare: «Mi lamento di lei,
della ragazza. Non è serio andare subito a letto col proprio boy-friend».
La mia foga moralizzatrice fa inviperire
Teresa.
«Ecco finalmente l’hai detto: la colpa è
sempre delle femmine».
«Non ho detto questo», ribatto, ma, nel
caso specifico, do a lei la colpa. Tutta questa fretta di mettersi assieme non
è giustificata».
«Intanto si conoscono e si frequentano da
quasi un anno».
«E tu come lo sai?» chiedo stupito.
«Lo so».
«Sempre saputo?» indago.
«Sì!»
La rivelazione mi fa ammutolire; Non
riesco a proferire parola come se avessi la lingua secca. La gelosia mi
consuma: alla zia sì e al nonno no! Non avrei mai immaginato che mio nipote mi
nascondesse qualcosa. Ho sempre creduto di avere un rapporto speciale con il
ragazzo, più intimo di quello che ha col suo stesso padre, per questo mi sento
tradito e di conseguenza arrabbiato. Mi sono sempre considerato il suo
confidente preferito, e scoprire, adesso, che mi ha taciuto di questa ragazza
mi fa proprio male, tanto che mi passa l’appetito. Dapprima continuo a mangiare
per forza d’inerzia, masticando e rimasticando ogni boccone come fosse chewingum,
e poi allontano da me il piatto con ancora mezza pizza.
«Che fai non mangi più?» mi chiede Teresa
con la fronte corrucciata.
«Sono sazio» le rispondo brusco e mi alzo
da tavola.
«Ce l’hai con me?»
Faccio il sostenuto: «Anche, perché sapevi
e non mi hai detto nulla».
«Non ho dato importanza alla cosa…»
Non la faccio finire: mi allontano in gran
fretta e mi chiudo nel mio studiolo, sbattendo la porta. M’impongo di
concentrarmi sul passato e di mettere tra parentesi il presente.
Questa reazione degli accompagnatori
lusingò la ragazzina perché di solito l’attenzione dei maschi era rivolta verso
le sorelle con le quali dal basso dei suoi undici anni, non poteva competere:
esse avevano seni prosperosi mentre i suoi erano dei grossi bottoni non
abbastanza visibili sotto la camiciola.
Quella mattina però si era sistemata sotto
la canottiera due fazzolettini appallottolati, e così anche lei faceva la sua
bella figura con quelle due sporgenze. Anzi ora che appariva più grande, la
bellezza luminosa del suo viso oscurava quella delle sorelle che erano
prosperose, ma non avevano la sua carnagione liscia e rosata né lunghi e
ondulati capelli biondi, come si addice a chi ha occhi azzurri come il mare.
Anche se a casa sua non si parlava altro
che di maschi e dei loro istrionismi per un bacio o per infilare le mani sotto
il corpetto – cose alle quali le sue sorelle si sottraevano raramente, perché
tutte queste buffonate le divertivano un sacco – lei aveva sempre coltivato il
sogno di un amore romantico con un uomo ideale, bello, generoso e rispettoso
delle sue virtù.
Quando pensava ai maschi, mai le veniva in
mente di avvinghiarsi a loro come facevano le sue sorelle, ma s’immaginava di
passeggiare con il suo fidanzato, mano nella mano, mentre lui le bisbigliava
misteriose parole che la tenevano allegra. In nome di queste simili fantasie
lei aveva già scartato i ragazzi più grandi perché, ogniqualvolta si era
accompagnata a loro, non pensavano altro che a toccarla continuamente e a farle
proposte di sesso.
Con i suoi coetanei si sentiva più sicura
perché il sentimentalismo proprio di quell’età li limitava a farle gli occhi
dolci e a colmarla di attenzioni. A lei piaceva particolarmente un compagnetto
di scuola, che, ogni volta che la vedeva, arrossiva e rimaneva imbambolato a
guardarla.
I suoi sorrisi, che gli illuminavano il
viso paffutello e gli occhi verdi cangianti, le dicevano che gli piaceva e
perciò aspettava trepidante che le chiedesse di fidanzarsi. Ma l’anno
scolastico si avviava al suo epilogo e la desiderata richiesta non veniva,
allora era stata lei a prendere l’iniziativa. Proprio qualche settimana prima
aveva approfittato del fatto che se ne stava solo soletto nella sua aula per
avvicinarlo e chiedergli se la volesse come fidanzata. Lui più imbambolato del
solito non le aveva risposto e l’aveva guardata allontanarsi senza dire una
parola.
Si sentì molto infelice e pianse a lungo
nelle notti seguenti, mordendo il cuscino per non fare sentire i singhiozzi
alle sorelle. Infine l’amarezza del diniego la spinse a lasciarsi andare alla
compagnia maschile che gravitava attorno alle sorelle più grandi.
Dall’alto del poggio ove era costruita la
chiesa vedevo tutto quello che accadeva nella sottostante strada, da dove non
potevo sentire le parole, ma le intuivo.
Rita continuò a camminare in testa al
gruppo con passo sostenuto, incurante di ciò che accadeva dietro di lei. Aveva
fretta di arrivare a casa dove sapeva che la stava aspettando Romeo, l’uomo per
il quale il suo cuore palpitava come mai con nessun altro.
Era già lì, in effetti, appoggiato alla
parete della modesta abitazione, vicino all’uscio. Il lungo collo, che
sosteneva la faccia moresca animata da due occhietti spiritati e in continuo
movimento, rendeva slanciato il corpo robusto e asciutto.
Quando lo scorse da lontano, Rita si
staccò dal gruppo dei corteggiatori e di corsa lo raggiunse. Abbracciandolo si
fece piccola addosso a lui. Egli, con aria di sufficienza, estrasse i pollici
che teneva infilati nella cintura e le circondò le spalle con un braccio, da
padrone. Con la mano libera bussò alla porta che si aprì subito e, sempre
tenendo la ragazza appiccicata a sé, entrò in casa.
Solo dopo che la porta si rinchiuse alle
spalle degli amanti, i giovani della compagnia si riscossero dal sortilegio di
quella scena che li aveva allocchiti e ammutoliti.
«Non mi ha mai abbracciato così» farfugliò
Giacomino, notevolmente demoralizzato.
«Dove andò a trovarlo a questo stronzo?»
chiese il Russo, finalmente solidale con il suo rivale.
«Manco della nostra contrada è » affermò
sconcertato l’attore Valentino.
«Però è beddu. Lo dovete ammettere!»
esclamò la più piccola delle sorelle, con occhi sognanti.
«Per me ha una faccia d’ogni giorno»
giudicò Pietro Mammalucco.
«Tu zittiti, scarparo perso» lo aggredì
Caterina.
«Tutti parlano ed io non posso parlare?»
Protestò il calzolaio.
«Tu no! Perché sei mammalucco, e non
capisci nulla» affermò ancora più
perentoriamente la ragazza.
Intanto l’attore Valentino, ignorando quel
battibecco, informava gli altri che l’intruso era originario della Porticella,
che forse si chiamava Romeo, e che era ingiuriato lu pazzu.
«È vero pazzo?» chiese Giacomino, sempre
più cupo.
«Pazzo da catena! A darti una coltellata
non ci sta niente» rispose il presunto
sosia dell’attore cinematografico. «Mi pare che sia stato pure in galera».
L’ultima precisazione inquietò molto i
ragazzi che cominciarono a commiserare le due sorelle Ciappeddaru rimaste con
loro.
«Che razza di cognato avete.»
«Vi potete rallegrare.»
«A che serve la bellezza se poi è
delinquente?»
Tutto questo discredito gettato sul
cognato fece imbestialire le due sorelle che reagirono con veemenza.
«Siete menzogneri» strillò Pia.
«E cacasotto» aggiunse Caterina. «Andate a
dirgliele in faccia queste cose» li sfidò.
«Ah, non avete il coraggio!»
«E allora gliele riferiamo noi» minacciò
Pia con decisione.
«Hai ragione. Andiamo» l’appoggiò subito
la sorella.
E assunto un portamento impettito, proprio
di chi è offeso, si allontanarono con passo sostenuto. Secondo loro la minaccia
di riferire tutto a Romeo avrebbe dovuto spaventare i ragazzi per cui si
stupirono nel sentire sghignazzare dietro di loro. Pia non seppe resistere e si
voltò indietro: ci restò male nel vedere il Mammalucco che ancheggiava imitando
la loro camminata.
Ma la loro sfrontatezza durò poco, perché
non appena le due sorelle entrarono a casa, i giovanotti si sparpagliarono in
un fuggi fuggi generale.
Rileggo le pagine appena scritte (tante in
poco tempo) ma non sono soddisfatto. Colpa del nervosismo che non mi fa
concentrare abbastanza. Tutto congiura contro la mia vena di scrittore, mi viene
da pensare, e la realizzazione di questo progetto letterario che non è di oggi,
ma risale a cinquant’anni fa. Ho sempre desiderato raccontare del mio primo innamoramento,
per me fatto eccezionale a causa dell’età in cui era avvenuto e dell’epilogo
triste che l’ha caratterizzato, ma non mi è stato mai possibile farlo ovvero ho
sempre rimandato: quand’era in vita mia moglie perché mi sembrava come una
forma di tradimento andare a rivangare i sentimenti provati per un’altra, e,
dopo la sua prematura scomparsa, per gli impegni derivanti dalla crescita e
educazione della figliola.
Già, mia figlia, mi dico, dandomi una
manata sulla fronte, bisogna avvertirla di quello che ha combinato Ninni!
Torno a uscire dallo sgabuzzino-pensatoio
e, come un invasato, mi precipito in cucina.
Trovo mia sorella con un triangolo di
pizza che le esce dalla bocca come la lingua di una vipera.
«Che fai, mangi?» le chiedo stupito.
«Mi fa pena buttarla» mi dice con la bocca
piena. Adesso mi sembra una mucca che rumina.
«Bisogna avvertire i genitori» biascico e
mi avvio verso il telefono fisso, ma mia sorella mi frena.
«Sanno già tutto».
«Chi glielo ha detto?»
«Ninni».
A tutti l’ha detto quel traditore, eccetto
me.
«E loro che dicono?»
«Niente. Che devono dire?»
«Ora ci parlo io».
«Prima mangia un altro pezzo di pizza» più
che un invito è una preghiera. «Aiutami a finirla».
«Non ho più fame» taglio corto e vado a
telefonare.
Appena mia figlia risponde, le parlo in
modo concitato: «Ninni se n’è fuito
con una sconosciuta… se l’è portata a Palermo… venite dobbiamo parlare…
decidere il da farsi…».
«Ora dobbiamo andare ad aprire il locale»
mi dice, appena glielo permetto, senza scomporsi. «Verremo domani mattina».
Anche se il tu-tu-tu del telefono mi significa
che ha chiuso, continuo a invocare il suo nome: «Chiara, Chiara…»
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