lunedì 18 aprile 2016








Alberto Di Girolamo   
DOMANDE E RISPOSTE SUL MONOTEISMO GIUDAICO-CRISTIANO   
CAPITOLO QUINTO    
L’ORIGINE DELL’UNIVERSO  

PERCHÈ LA COSMOGONIA È UN PUNTO ESSENZIALE DI TUTTE LE RELIGIONI? La religione per sua costituzione si propone come “svelamento” di tutti i misteri che riguardano l’esistente, e quindi è naturale che si occupi del problema massimo che è l’origine dell’universo e degli esseri che lo popolano. Però questo compito la religione lo assolve in modo paradossale, perché per spiegare i misteri della realtà ricorre a un mistero metafisico che in quanto tale non si potrà mai sperare di chiarire. Così, per dare una risposta al problema della creazione, la religione ricorre al mistero della volontà divina, affermando che l’universo è stato forgiato da un essere sovrumano.  Questa teoria creazionistica oltre ad essere la più antica è anche la più semplice sia perché non richiede una faticosa preparazione scientifica per essere capita sia perché il ricorso a un essere onnipotente permette di superare qualsiasi difficoltà derivante dal vincolo delle leggi naturali: tutto è stato compiuto attraverso atti 
sovrumani e miracolosi che si sottraggono, per loro natura, ad ogni richiesta di spiegazione razionale. La “sacra” spiegazione dell’origine della natura, e dei fenomeni che in essa continuamente si svolgono, ha trovato nella narrazione mitologica una felice forma espressiva. Nella cultura arcaica, di cui il mito è espressione, l’origine e l’ordine del mondo (l’alternarsi regolare del giorno e della notte, delle stagioni, della semina o raccolta delle colture agrarie) sono spiegati ricorrendo ad avvenimenti straordinari compiuti da esseri soprannaturali, in un tempo imprecisato e lontanissimo, quando tutto il mondo era dominato dal caos e dal caso. Questi personaggi eccezionali e/o divini si sono adoperati per plasmare un mondo, quanto più possibile, ordinato e stabile nelle leggi che lo governano. I cambiamenti attuati in quel tempo remoto sono stati irreversibili e così alla fine la realtà è stata sottratta al caso e al disordine e si è formato il mondo della nostra vita quotidiana che funziona secondo regole stabili e certe.    I miti cosmogonici non sono una prerogativa delle religioni del passato, essendo presenti nelle più grandi confessioni oggi praticate nel mondo. L’Induismo, ad esempio, pone alla base del creato una sola potenza divina, Brahman che ha generato gli dei, gli uomini e quanto altro esiste nel Trimundio (cielo, aria, terra). In uno dei miti sulla creazione si afferma che una parte dello spirito primordiale si è trasformata in cosmo, pertanto l’essenza (atman = spirito)  del mondo è identica all’essenza umana ed entrambe sono identiche a Dio: Come il filo si svolge dal ragno, come le piante sorgono dal terreno, come i capelli ci spuntano in capo, così il Tutto sgorga dall’Eterno. (Mundaka 1, 1,7) (1).  
Altri miti, conservati nei Purana indù, si allontanano da questa versione panteistica/panenteistica e raccontano che il Brahman dopo aver rischiarato le tenebre primordiali che avvolgevano l’universo crea le acque e vi depone l’Aureo Germe da cui nasce Brahma, il Dio creatore, e l’Aureo Uovo. Brahma divide 
l’Aureo Uovo in due parti costruendo il Cielo e la Terra che a loro volta generano i dieci Praja-pati, creatori secondari che completano l’opera creatrice. In un altro mito troviamo questa variante: Brahma, dopo aver diviso l’Aureo Uovo, divide pure se stesso, dando vita all’essere maschile e a quello femminile, da essi discende Manu, il progenitore dell’umanità.  Un altro elemento essenziale della cosmogonia/cosmologia indiana è la concezione ciclica dei mondi prodotti dal continuo mutamento dell’eterna materia primordiale: ogni mondo nasce vive e muore secondo il predominio alterno di Brahma, di Visnù, o di Siva che simboleggiano rispettivamente la creazione, la conservazione e la distruzione. Ogni ciclo temporale o evo cosmico si svolge in uno spazio di milioni di anni. L’era attuale è iniziata nel 3102 a.C. (siamo ancora all’alba); quando arriverà la sua fine, la materia cosmica diventerà indifferenziata e impercettibile come il nulla. Dopo un periodo parimente lungo sarà generato un nuovo Brahma che creerà un altro modo. Questa teoria ci ricorda molto Anassimandro e il suo àpeiron (VI sec. a. C.).   
Anche al Budda viene attribuita una cosmologia, secondo la quale nello spazio infinito esistono infiniti mondi, abitati da un’infinita quantità di esseri.   
Il mito giudaico cristiano sulla creazione è molto più sobrio perché limato nella sua formulazione da secoli di riflessione teologica, “Per scrivere questi trentacinque versetti la fede d’Israele ha avuto bisogno di secoli di riflessione, e molto profonda” (2). Il testo dell’A.T. che oggi possediamo è sicuramente una sintesi di diverse redazioni che hanno accompagnato l’evolversi della tradizione. Tracce di queste differenti compilazioni emergono ad esempio quando l’azione creatrice della parola è alternata dall’idea di un dio plasmatore, oppure nell’incongruenza esistente tra le opere e i giorni della creazione: il fatto che alcune opere siano create a cavallo di due giorni fa pensare che l’ordine delle opere create sia stato diverso nei vari documenti che si è cercato di cucire assieme. Il materiale con il quale è stato composto il Genesi proviene dalle tre fonti J, E e P (3); ma queste fonti, a loro volta hanno una lunga storia precedente, fatta di tradizioni antiche circolanti liberamente in mezzo al popolo. Ciò porta almeno a tre 
conclusioni: 1) il libro nella sua forma attuale non è stato composto di colpo né da un unico autore (Mosè) come molte anime pie continuano a credere; 2) essendo un prodotto storico culturale di un intero popolo è difficile supporre che sia stato scritto sotto dettatura o ispirazione divina; 3) per quanto ammirevole sia stata la capacità di sintesi da parte dei redattori non mancano le discrepanze dovute alla diversa provenienza delle parti che si è cercato di fondere organicamente Comunque, siccome il Cristianesimo l’ha posto a fondamento della sua dottrina, ad esso noi ci dobbiamo attenere. Il Genesi racconta che Dio ha creato in sei giorni tutto ciò che esiste, secondo quest’ordine: I) Primo giorno, creazione della materia caotica, della luce e delle tenebre. Da notare che la presenza di un caos iniziale è consono alle cognizioni dei popoli di quell’epoca sull’origine del mondo (ad esempio nella mitologia babilonese il dio Marduk può plasmare il cielo e la terra dopo aver sconfitto Tiamat, la selvaggia dea del caos). Anche la cognizione della luce come qualcosa che esiste indipendentemente dai corpi celesti - essa non è una emanazione di Dio ma è creata come può esserlo un oggetto – è propria della cultura orientale di quel periodo. Con l’irrompere della luce nel caos primigenio, ha origine la formazione e l’ordinamento cosmico.   II) Secondo giorno, creazione del firmamento e delle acque. La volta celeste è concepita come una grande volta solida a forma di emisfero, la cui funzione consiste nel separare le acque inferiori dalle superiori; quest’opera è completata nel terzo giorno. III) Terzo giorno: continuando quanto intrapreso nel giorno precedente, Dio raccoglie le acque inferiori in un luogo in modo da formare i mari e fare emergere la terra asciutta, immaginata come un disco circondato dal mare e galleggiante sulle acque. La seconda opera di questo giorno sono i vegetali che per gli antichi ebrei non hanno vita; le piante non sono create direttamente da Dio, ma sono prodotte dalla terra, in ciò sono ravvisabili gli antichissimi miti sulla fecondità della madre-terra; IV) Quarto giorno, creazione del sole, luna, stelle. Viene confermato che gli astri non sono produttori di luce, ma soltanto trasmettitori di una luce che esisteva prima di essi. Va notato che, mentre gli altri popoli vivono credendo che gli astri 
siano delle divinità capaci di influenzare la loro esistenza, gli ebrei ne parlano in modo prosaico considerandoli semplicemente dei luminari posti dall’unico Dio “per rischiarare la terra”. Alla fine del quarto giorno la terra è pronta per ricevere gli esseri viventi;  V) Quinto giorno, creazione degli animali acquatici e degli uccelli. I primi esseri viventi sono dei “grandi mostri marini” di cui sono pieni i miti di quell’epoca; i pesci e gli uccelli, creati in seguito, sono oggetti di una particolare benedizione divina perché corrispondono ai bisogni umani; VI) Sesto giorno, creazione degli animali terrestri e dell’uomo. Anche la creazione delle fiere “secondo le loro specie” avviene tramite la fertilità della madre-terra. “In profonda opposizione a questo legame del regno animale con la terra, il testo parla in seguito della creazione dell’uomo, che proviene direttamente e con tutta immediatezza dall’alto, da Dio.”(4); VII) Settimo giorno, Dio, avendo cessato la sua opera, benedì e rese sacro il settimo giorno.   Il racconto così com’è esposto nel Genesi appare alquanto pasticciato e privo di motivazioni convincenti. Ma la successiva tradizione scritta e orale ha provveduto ad interpretarlo e a perfezionarlo in modo da porre l’atto creativo all’interno di un disegno generale divino, capace di spiegare la presenza del finito e di dare un senso agli avvenimenti temporali. In conclusione la cosmogonia e la cosmologia del Cristianesimo presentano i seguenti punti fondanti:   a - L’universo è stato creato dal nulla, perché al principio c’era solo Dio e niente esisteva fuori di Lui. La creazione dal nulla, da una parte differenzia il Cristianesimo da altre religioni e dalla filosofia del periodo classico, nei quali accanto alla divinità è presupposta una materia coesistente dall’eternità, una materia caotica che il demiurgo plasma e mette in ordine; dall’altra parte rende Dio assolutamente incondizionato e onnipotente: infatti un dio che avesse forgiato una materia preesistente risulterebbe vincolato e limitato nella sua azione dal materiale che ha avuto a sua disposizione, invece creando dal nulla, il suo agire non ha avuto limiti e tutto sarebbe riconducibile alla sua libera volontà. Dio sarebbe egualmente 
incondizionato se si identificasse con il mondo, ma, in questo caso, non si potrebbe più parlare di trascendenza e di immutabilità. Nel Genesi non c’è scritto espressamente che il cosmo fu tratto dal nulla: In principio Dio creò il cielo e la terra.  La terra era deserta e vuota, le tenebre coprivano l’abisso, e un vento di Dio si librava sopra le acque.  Dio disse: “Sia la luce”. E la luce fu (1, 1 – 3). . La convinzione che Dio abbia prodotto qualcosa di nuovo si basa sull’uso del verbo creare, in ebraico “barà = fare” che implica il concetto di creatio ex nihilo. Tuttavia Israele non si è salvata del tutto dagli influssi dei miti cosmogonici e teogonici che circolavano in quel periodo, tanto è vero che la narrazione pone, tra il nulla e la creazione, un caos primitivo: molti commentatori considerano il primo versetto come una frase a sé, come il riassunto di quanto sarà realizzato nei sei giorni, in questa ipotesi è chiaro che diventa predominante il secondo versetto che indica chiaramente una situazione caotica che sarà ordinata a partire dal terzo versetto. Altri commentatori preferiscono considerare i tre versetti come un unico periodo, ma il risultato è sempre lo stesso, perché il “cielo e la terra” del v.1, in quanto protasi del v. 2, non può che indicare la materia primordiale e caotica nella quale Dio porrà ordine successivamente per gradi.   b – Dio, nella sua perfezione, era infinitamente felice in se stesso per cui non aveva alcuna necessità di creare, la sua fu una decisione libera e non obbligata. “L’idea che la creazione si compia mediante la parola vuole esprimere da una parte la più radicale differenza ontologica tra creatore e creatura. Il creato non può derivare da dio per ‘emanatismo’, neppure il più blando; esso non è in alcun modo emanazione o riflesso della sua sostanza, non è, cioè, di natura divina, ma soltanto un prodotto della sua volontà personale. L’unica continuità che esiste tra Dio e la sua opera è rappresentata dalla parola” (Bonhoeffer). “Questa parola creatrice è diversa da tutte le parole dell’uomo, non è ‘vuota’ (Deut. 32,47; is. 55, 11), ma potente e dotata di sublime energia. Si afferma così implicitamente anche la dottrina della totale appartenenza del mondo a Dio; esso è creazione della sua volontà ed Egli ne è il Signore” (4). Ma nella creazione del firmamento (secondo 
giorno) accanto alla parola creatrice, c’è un “fare” (Gen. 7, 16) diretto di Dio. Questa diversa concezione è dovuta chiaramente a due differenti redazioni del racconto della creazione. c – Dio, spinto da pura bontà, volle dispensare la vita alle creature. Inoltre, dopo la creazione, Egli continua a prendersi cura (provvidenza) delle cose create, conservandole e dirigendole tutte al proprio fine, con sapienza, bontà e giustizia infinita. d - Dio non creò soltanto ciò che è materiale, ma anche i puri spiriti che sono esseri intelligenti senza corpo. Noi sappiamo che esistono i puri spiriti dalla fede. Sempre la fede ci fa sapere anche che esistono puri spiriti buoni, ossia gli angeli, e puri spiriti cattivi, ossia i demoni. Gli angeli sono ministri invisibili di Dio, che fra l’altro hanno il compito di custodirci, aiutandoci e proteggendoci, avendo Dio affidato ciascun uomo ad uno di essi. I demoni sono angeli che, capeggiati da Lucifero, si sono ribellati a Dio per superbia e per questo sono stati, come punizione, precipitati nell’inferno. Essi, per odio contro Dio, tentano l’uomo al male. e - Tutti gli esseri viventi sono stati creati per un atto divino per cui ogni forma vivente ha iniziato la sua esistenza con le sue attuali caratteristiche. Gli animali sono stati creati per l’utilità e il piacere dell’uomo. f - I teologi giudei e quelli cristiani, considerando le generazioni bibliche a partire dai tempi di Adamo, hanno calcolato che la terra possa avere al massimo 6000 anni. Il rabbi Hillel (IV sec. d.C.) indicò con precisione la data: 7 ottobre 3761 a. C.  

SI PUÒ FARE A MENO DI UN DIO CREATORE?   L’ipotesi dell’evoluzione fisica è una spiegazione dell’origine dell’universo senza ricorrere a un essere divino. Secondo questa teoria scientifica l’inizio della formazione dell’universo va collocato molto più indietro di quanto faccia la Bibbia; e precisamente a circa 15 miliardi di anni addietro, quando una tremenda esplosione – il cosiddetto Big Bang – avrebbe determinato l’espansione della 
materia, prima concentrata in un solo punto dello spazio, e la successiva formazione di tutti i corpi celesti.   
Nell’evoluzione fisica dell’universo per comodità espositiva distinguiamo tre tappe significative, legate al procedere dell’espansione e alla progressiva diminuzione della temperatura sprigionata al momento del Big Bang: - L’esplosione primordiale avvenne in una materia estremamente densa e concentrata in uno spazio ridottissimo. Nei primissimi istanti si creò una “sfera di fuoco” con una temperatura di alcuni bilioni di gradi. Le particelle subnucleari, immerse in quella incredibile fornace, non furono in grado di combinarsi tra loro per l’azione dirompente dei fittissimi e durissimi raggi gamma, capaci di infrangere e distruggere qualsiasi legame; per questo, in quei primissimi istanti, non c’erano atomi e neanche nuclei atomici: tutti gli elementi erano dissolti. Il contenuto dell’universo era un miscuglio (“brodo” lo chiamano gli scienziati) di tutte le specie di particelle e antiparticelle elementari possibili a quella temperatura: protoni, neutroni, elettroni, fotoni, neutrini. A pochi minuti dall’immane esplosione, la temperatura scese da miliardi a milioni di gradi e contemporaneamente diminuì la densità delle radiazioni primordiali; ciò favorì il formarsi dei primi nuclei atomici complessi: i deutoni (neutrone + protone) che per ulteriore sintesi si trasformarono in elio. Si calcola che in pochi minuti un quarto della materia contenuta nell’universo si sia trasformata in elio. Poi il repentino abbassamento della temperatura rese impossibile una ulteriore nucleosintesi.  Con la diminuzione del calore e il dilatarsi dell’universo, si allungarono i tempi di evoluzione, tant’è che dovettero passare ancora un milione di anni affinché si creassero le condizioni adatte (temperatura a qualche migliaio di gradi) alla combinazione di elettroni e protoni e quindi alla formazione di idrogeno. A questo punto finiva l’era della “sfera di fuoco” e iniziava l’era della materia. -Qualche milione di anni dopo l’evento iniziale, l’universo, notevolmente espanso, era costituito da materiale fluido (idrogeno ed elio) con qualche traccia di elementi più pesanti e con un residuo di radiazione ridotta a poche migliaia di gradi di temperatura. In seno a queste grandi nubi di gas, per l’azione della gravità 
che riuscì a condensare masse di materia, ebbero origine le prime stelle che dovettero avere massa notevole, alta luminosità e vita breve (tre o quattro milioni di anni). Queste stelle di prima generazione ebbero una funzione molto importante nell’evoluzione dell’universo, perché nel loro interno, a causa della contrazione, la temperatura divenne così alta da permettere la ripresa di quel processo di nucleosintesi che si era svolto qualche secondo dopo il Big Bang; nella fornace stellare si ha una nuova produzione di elio, ma anche la nascita del carbonio, dell’ossigeno, del silicio e dei metalli. Quando queste prime stelle sono esplose hanno “disseminato” nello spazio i nuovi elementi sintetizzati, contribuendo a cambiare la composizione del materiale cosmico, prima fatto quasi esclusivamente di idrogeno ed elio. Così le stelle, succedendosi le une alle altre, hanno sintetizzato e diffuso tutti quegli elementi che ci sono familiari e che permettono la vita sul nostro pianeta. -Circa cinque miliardi di anni addietro, in una delle nubi di gas e di “polveri interstellari” presenti nella Galassia, iniziò un processo di contrazione che determinò la nascita del nostro sole: per quindici milioni di anni la nuova stella visse una fase di grande instabilità durante la quale, a causa della contrazione, la temperatura ascese a molti milioni di gradi, tanto che, a un certo punto, si innescò nel cuore della stella una intensa attività nucleare. Siccome le reazioni nucleari producevano l’energia di cui il sole “aveva bisogno” per risplendere, esso cessò di contrarsi, e d’allora (4,6 miliardi di anni fa) il suo raggio e il suo colore sono rimasti “stazionari”. Parallelamente attorno al sole in formazione (protosole) si realizzava il processo di composizione dei pianeti: buona parte della nebulosa gassosa e polverosa si dispose attorno all’embrione stellare in crescita, formando degli anelli come quelli che possiamo vedere attorno a Saturno. La nebulosa appiattita come un disco incominciò a roteare attorno al protosole provocando un continuo movimento dei grani che la componevano (più piccoli sono più si allontanano dal centro), durante il percorso essi si urtavano e si aggregavano accrescendo la loro massa fino a formare dei corpi solidi denominati “planetesimi”.  A questo punto la teoria distingue tra la zona più lontana e quella più prossima al sole: Nella zona interna i “planetesimi” continuano a raggrumarsi formando 
enormi corpi (anche di venti chilometri di diametro) che urtandosi violentemente tra loro tornano a frantumarsi con il risultato di spargere nello spazio un nugolo di detriti di tutte le dimensioni. Ma qualche corpo ha conservato la sua mole, costituendo l’embrione del futuro pianeta; infatti esso riesce a catturare con la sua forza di gravità dapprima il materiale più minuto che entra nella sua raggio d’azione e poi, man mano che la sua massa aumenta, anche i detriti più grandi. La formazione del pianeta si conclude quando l’embrione non ha più materiale da attirare in un raggio migliaia di volte maggiore del suo. Il processo di strutturazione dei pianeti terrestri ha richiesto circa cento milioni di anni. Nella zona esterna il coagularsi della materia è stato più complicato per l’abbondante presenza di gas, la cattura del quale ha richiesto che prima si formasse una massa decine di volte maggiore di quella terrestre. Per questo motivo si pensa che il periodo di formazione di Giove e di Saturno sia stato molto più lungo di quello occorso per il nostro pianeta. I tempi si dilatano enormemente per Urano e Nettuno, infatti il loro processo di accrescimento dovette essere estremamente lento visto che avvenne in una zona della nebulosa dove la densità era molto bassa. Sulla formazione dei satelliti il nostro modello ipotizza un’evoluzione analoga quella dei pianeti: quando intorno a un pianeta rimase un residuo di particelle solide, è molto probabile che all’interno di quello sciame sia avvenuto un fenomeno di aggregazione che diede luogo alla formazione di satelliti (5). Lo sciame che circondava la terra dovette essere costituito di particelle molto piccole a base di silicato; questo spiega perché la luna non abbia tutto quel ferro che invece troviamo sulla terra.  Tutti i pianeti inizialmente erano infuocati; questo calore in parte fu un lascito della nebulosa protosolare, e in parte fu prodotto dalla violenza degli urti delle meteoriti che si abbatterono su di essi: ne sono la prova i piccoli e grandi crateri che ancora oggi possiamo osservare sulla Luna e su Mercurio.  Durante la loro fase di formazione i pianeti si dovevano presentare come enormi palle di fuoco; una massa lavica che lentamente disperdeva il suo calore nello spazio: i corpi più piccoli, come la luna (e poi Mercurio e Marte) si sono raffreddati in un tempo relativamente breve, pietrificandosi nell’aspetto che 
conosciamo, per mancanza di attività termica. La nostra terra invece si è raffreddata solo esternamente, dopo milioni e milioni di anni dalla sua formazione, formando una crosta abbastanza stabile, mentre il suo nucleo ancora incandescente, ne fa un pianeta vitale, animato da un’intensa attività che si manifesta con le eruzioni vulcaniche, i terremoti e la deriva dei continenti.  Il nucleo primigenio del futuro pianeta Terra, oltre ad attirare a sé le pietre e la polvere che le stavano attorno, catturò anche una gran quantità di ghiaccio che nelle sue viscere incandescenti divenne gas. La pietra liquida imprigiona i gas, invece quella solida li perde; per questo, grandi masse gassose fuoriuscirono, sotto forma di geyser, dalla crosta terrestre che si solidificava, andando a formare l’atmosfera. In seno all’involucro gassoso, ben presto, ebbe luogo un processo di condensazione e incominciò a diluviare. La grande tempesta primitiva, accompagnata da continue scariche elettriche, sommerse d’acqua quasi tutta la superficie del pianeta; si suppone che un contributo notevole alla formazione degli oceani fu dato dalle comete - costituite principalmente di ghiaccio - che nello stesso periodo si impattarono sulla terra. In questo brodo oceanico si formarono le prime molecole organiche (zuccheri, alcoli, grassi, amminoacidi) che combinandosi e dissociandosi nel liquido fecondo daranno l’avvio alla miracolosa evoluzione della vita.    
Lo Standard Big Bang Model non si limita a ricostruire il passato dell’universo, ma ne ipotizza anche il futuro: la previsione più accreditata è che le galassie allontanandosi a dismisura provocheranno gradatamente la diminuzione della velocità dello spostamento fino ad arrestarsi, fra una decina di miliardi di anni; a questo punto si genererà un moto di verso opposto capace di riportare tutta la materia allo stadio di temperatura e di densità iniziali (il che significa il dissolvimento dell’universo). Nulla vieta di pensare che, dopo il processo di involuzione si possa avere una nuova esplosione che dia la spinta ad un nuovo processo evolutivo. Un’altra ipotesi è che l’universo continui a dilatarsi indefinitamente fino all’esaurimento di tutta l’energia esistente: una lenta agonia che si concluderà con una disintegrazione.   

 QUALI PROVE ADDUCONO GLI SCIENZIATI A SOSTEGNO DEL STANDARD BIG BANG MODEL ?  Per rispondere a questa domanda corre l’obbligo di accennare alle scoperte che sono il fondamento della moderna cosmologia.  La cosmologia come scienza è nata nel 1924 quando l’astronomo statunitense Edwin Powell Hubble (1889 – 1953) scoprì che esistevano raggruppamenti di stelle o galassie simili alla nostra Via Lattea, ma esterni ad essa; in seguito a questa scoperta, l’universo si dilatò enormemente, popolandosi di numerosi ammassi di stelle in movimento nello spazio. Proprio il movimento delle galassie suscitò tra gli astronomi un acceso dibattito sulla possibilità o meno che le distanze intergalattiche rimanessero costanti nel tempo. Fu ancora una volta Hubble, tra il 1929 e il 1936, ad accertare che le galassie si allontanano l’una dall’altra con una velocità crescente man mano che aumenta la distanza, secondo la formula v =H° D (legge di Hubble). L’esempio che didatticamente viene utilizzato per spiegare la scoperta di Hubble è quello di un palloncino gonfiabile (l’universo) sul quale vengono incollate dei dischetti rigidi (le galassie); quando il palloncino si gonfia i dischetti si allontanano tra loro pur conservando le stesse dimensioni. La scoperta di Hubble mise tutti d’accordo sulla realtà dell’espansione dell’universo, ma ben presto i cosmologi si divisero tra coloro che sostenevano l’evoluzione fisica dell’universo con un inizio legato ad una immane deflagrazione  e coloro che parlavano di un universo stazionario. Secondo il primo modello la progressiva espansione dell’universo, dopo il Big Bang, avrebbe determinato una progressiva diminuzione della densità della materia in esso contenuta e dell’energia sprigionata dall’esplosione. Anche la teoria dell’universo stazionario ammetteva l’espansione dell’universo, ma negava la diminuzione della densità della materia ipotizzando che vi fosse nell’universo una creazione continua di materia che andasse a riempire lo spazio continuamente reso disponibile dall’espansione. Va da sé che la creazione continua di materia (in quantità piccolissima, inosservabile nei laboratori terrestri) escludesse il Big Bang come unico evento produttore di materia, in un tempo determinato. 
 Nel 1965 la questione fu risolta a favore dell’evoluzione fisica grazie alla scoperta di A. A. Penzias e R. W. Wilson. I fisici Penzias e Wilson, dipendenti dei Bell Telephone Laboratories, stavano regolando un radiotelescopio per seguire dei satelliti artificiali, mentre cercavano di stabilire il livello di zero dello strumento notarono che l’antenna puntata verso il cielo rilevava un rumore di fondo simile al brusio che una normale radiolina emette quando si passa da una stazione all’altra. I due giovani tecnici non seppero spiegarsi il fenomeno, ma riferirono lo stesso la loro esperienza su una rivista astronomica. Alcuni scienziati dell’Università di Princeton stavano lavorando in quel tempo sull’idea che l’universo fosse pieno di una radiazione diffusa primordiale; essi videro nella scoperta casuale di Penzias e Wilson una conferma alla loro ipotesi. Le successive osservazioni, oltre a confermare con assoluta certezza l’esistenza di questo “fondo” a microonde, hanno dimostrato che esso proviene ugualmente da ogni direzione (isotropia): il fatto che non si possa individuarne la sorgente esclude la sua origine terrestre, galattica e persino extragalattica. La conclusione cui porta questo ragionamento è che solo all’interno della teoria evoluzionistica si riesce a dare una spiegazione plausibile a questa radiazione di fondo: la radiazione scoperta da Penzias e Wilson altro non è che il residuo dell’energia rilasciata dal braciere iniziale e arrivata a noi, dopo circa 15 miliardi di anni, indebolita e degradata per effetto dell’espansione dell’universo. Questo debole chiarore occupa l’intero spazio/universo per cui tutta la materia esistente è immersa in essa così come tutti gli elementi terrestri sono immersi nell’atmosfera. Anche l’abbondanza di elio e di idrogeno presenti nell’universo trova una spiegazione coerente alla luce della teoria del Big Bang: l’attività di tutte le stelle di tutto l’universo non basta a spiegare la quantità di elio osservata, se invece ipotizziamo le reazioni nucleari scatenate dall’esplosione iniziale tutti i conti tornano.  I conti tornano pure per quanto riguarda la presunta data dell’esplosione primordiale: lo studio delle onde radio e della luce (6) che viaggiano nel cosmo, i calcoli sulle distanze delle galassie e sulla loro velocità di recessione, l’età delle 
stelle più vecchie e degli atomi più vecchi ci confermano che l’universo è nato circa 15 miliardi di anni fa.    

LO STANDARD BIG BANG MODEL  È AL DI LÀ DI OGNI DUBBIO?  Anche se l’ipotesi evoluzionistica, nelle sue linee fondamentali, è universalmente accettata come verità scientifica, nessuno scienziato risponderebbe a una simile domanda affermativamente. In primo luogo perché nessuno può dire cosa ci fosse prima dell’esplosione iniziale: il “muro del tempo zero” impedisce di dare un’occhiata al di là di esso: “per quanto riguarda la struttura iniziale dello spazio-tempo, alcuni anni or sono S. Hawking e R. Penrose hanno elaborato dei teoremi basati su proprietà molto generali della gravitazione, i quali dimostrano l’esistenza di una singolarità all’inizio dell’universo; la scala universale R(t) doveva essere prossima a zero, e la densità prossima a infinito. Questa singolarità costituisce un “confine” dello spazio-tempo oltre cui non ha senso cercare una descrizione scientifica; da esso hanno origine insieme spazio e tempo, materia e radiazioni… In realtà, l’analisi fisica dettagliata non penetra ancora con certezza al di là di un milionesimo di secondo perché non sono ben note le proprietà della materia in condizioni che superano le densità interne ai nuclei atomici.” (7)  In secondo luogo perché parecchi punti della teoria non sono stati ancora adeguatamente spiegati. Alcuni esempi: 1) non c’è dubbio che le stelle si formino dove c’è una relativa concentrazione di polveri e gas, ma non si comprende quale sia l’evento fisico che inneschi il processo di organizzazione della massa caotica; un processo che sembra discordare con il secondo principio della termodinamica, per il quale in natura si passa da uno stato di ordine a uno di disordine (principio dell’entropia). 2)Un altro problema aperto riguarda la genesi di sistemi orbitanti attorno ad un corpo centrale. 3) Neanche sappiamo con assoluta certezza se l’universo sia finito o infinito perché l’osservazione astronomica non si può spingere aldilà di una certa distanza: le galassie più lontane si muovono quasi alla velocità della luce (la velocità di espansione aumenta con la distanza) e pertanto “un raggio di luce emesso da una sorgente che si allontana con la velocità della luce perde praticamente tutta la sua energia. Esso si estenua come un corridore su un tapis roulant che scorra con la sua stessa velocità ma in direzione opposta. Da 
questa luce non si possono trarre insegnamenti né ricavare immagini. Ne consegue che al di là di una certa distanza limite, non si può più <vedere>” (8).  

QUAL È L’ATTEGGIAMENTO UFFICIALE DELLA CHIESA?  
Quando uscì la teoria del big bang, Pio XII ne rimase così impressionato che “egli voleva pronunciare un discorso solenne per affermare che gli scienziati stavano scoprendo ciò che la Chiesa sapeva già dalla Genesi. Allora il presidente della Pontificia Accademia andò dal Santo Padre, gli spiegò come l’ipotesi degli scienziati non avesse alcun legame con le Sacre Scritture e lo convinse a non dire nulla.” (9) Da allora nella Chiesa contemporanea si sono formati come due partiti: uno, progressista, che accetta il principio evoluzionistico, cercando di conciliarlo con i versetti della Bibbia; la tesi di questo gruppo è che fra scienza e Scritture non c’è conflittualità perché la prima spiega come ha avuto origine il mondo che conosciamo, mentre la seconda ci svela perché esiste.  L’altro partito è quello conservatore che difende a spada tratta la tesi creazionista, malgrado le critiche che ne minano la credibilità. Questa divisione culturale che si registra nel mondo ecclesiale si riflette anche nei documenti ufficiali della Chiesa. Così nel Catechismo cattolico dopo aver fatto qualche concessione ai frutti del lavoro scientifico: La questione delle origini del mondo e dell’uomo è oggetto di numerose ricerche scientifiche, che hanno straordinariamente arricchito le nostre conoscenze sull’età e le dimensioni del cosmo, sul divenire delle forme viventi, sull’apparizioni dell’uomo (Catechismo, par. 283). Si cerca subito dopo di  ridurne la portata e l’importanza:  1) sminuendo il merito umano: . Tali scoperte ci invitano ad una sempre maggiore ammirazione per la grandezza del Creatore e a ringraziarlo per tutte le sue opere e per l’intelligenza a la sapienza di cui fa dono agli studiosi e ai ricercatori. Con Salomone costoro possono dire: “Egli mi ha concesso la conoscenza infallibile delle cose, per comprendere la struttura del mondo e la forza degli elementi… perché mi ha istruito la Sapienza, artefice di tutte le cose” (Sap. 7, 17 – 21) (Catechismo, par. 283)   
2) presentando l’evoluzione del cosmo come una manifestazione della provvidenza divina: La creazione ha la sua propria bontà e perfezione, ma non è uscita dalle mani del Creatore interamente compiuta. È creata “in stato di via” (in statu viae”) verso una perfezione ultima alla quale Dio l’ha destinata, ma che ancora deve essere raggiunta. Chiamiamo divina Provvidenza le disposizioni per mezzo delle quali Dio conduce la creazione verso questa perfezione ( Catechismo, par. 302). 3) cercando di surclassare  le ricerche scientifiche: Il grande interesse, di cui sono oggetto queste ricerche, è fortemente stimolato da una questione di altro ordine, che oltrepassa il campo proprio delle scienze naturali. Non si tratta soltanto di sapere quando e come sia sorto materialmente il cosmo, né quando sia apparso l’uomo, quanto piuttosto di scoprire quale sia il senso di tale origine: se cioè sia governata dal caso, da un destino cieco, da una necessità anonima, oppure da un Essere trascendente, intelligente e buono chiamato Dio. E se il mondo proviene dalla sapienza e 
dalla bontà di Dio, perché il male? Da dove viene? Chi ne è responsabile? C’è una liberazione da esso? (Catechismo, par. 284). 4) preferendo stemperare la cosmogonia nel mistero escatologico: La catechesi sulla creazione è di capitale importanza. Concerne i fondamenti stessi della vita umana e cristiana: infatti esplicita la risposta della fede cristiana agli interrogativi fondamentali che gli uomini di ogni tempo si sono posti: “Da dove veniamo?” “Dove andiamo?” “Qual è la nostra origine?” Quale il nostro fine?” “Da dove viene e dove va tutto ciò che esiste?”. Le due questioni, quella dell’origine e quella del fine, sono inseparabili. Sono decisive per il senso e l’orientamento della nostra vita e del nostro agire (Catechismo, par. 282). .  Malgrado le gerarchie della Chiesa cerchino di mediare tra le due opposte posizioni, il partito conservatore finirà con l’imporsi per il semplice fatto che ha ragione quando sostiene che l’idea di un universo come prodotto di uno sviluppo escluderebbe il “fiat” del racconto biblico. Dice Ernan McMullin: “Non si può sostenere in primo luogo che la dottrina cristiana della creazione convalidi il modello del big bang, né, in secondo luogo, che il modello del big bang convalidi la dottrina della creazione” (10).     

IL PUNTO SUL QUINTO CAPITOLO Allo stato attuale, il modello scientifico, con i suoi limiti e le sue zone d’ombra, lascia spazio alla fede in un dio creatore, il quale potrebbe essere l’autore di quella singolarità iniziale che esplodendo ha dato corso alla formazione dell’attuale  universo. Il collocamento di questo fattore metafisico a monte del processo cosmologico è reso possibile anche dal fatto che sull’origine del cosmo il libro sacro si mantiene sul vago, tanto che  nella fonte Jahvista si dice solo: . Quando Jahvé, Dio, fece la terra e il cielo, né v’era alcun arbusto di steppa sulla terra, e nessuna erba del campo ancora germogliava perché Jahvé Dio non aveva ancora fatto piovere sulla terra, né esisteva alcun uomo che coltivasse il terreno e soltanto acqua profonda saliva dalla terra per bagnare tutta la superficie del terreno;” (Gn 2, 4b - 6).  
L’incoerenza logico-temporale presente nel testo (è impossibile che ci fossero vegetazione e acqua prima che esistessero il cielo la terra) è la riprova che l’autore tutto preso dal rapporto Dio – uomo trascura (o ignora) il processo cosmogonico.  Nel documento sacerdotale il racconto della genesi del mondo sarà più ricco di particolari ma non si esce dalla genericità, e non poteva essere diversamente sia perché generiche e vaghe erano le nozioni fisiche-astronomiche di quell’epoca, sia perché il racconto della creazione ha un peso e un valore marginale a fronte dell’argomento centrale dell’Antico Testamento che è la storia dell’alleanza di Dio con Abramo. Tutto è subordinato e tende ad esaltare la vocazione di Abramo e la formazione del popolo eletto; “e tutto ciò in modo che Israele con lo sguardo della sua fede potesse risalire dallo stadio dell’elezione, in cui allora viveva, fino alla creazione, e di qui tracciare la linea verso di sé: dal limite estremo del protologico al cuore del soteriologico” (11). I Cristiani allungheranno questa linea per collegare la creazione alla missione di salvezza di Gesù Cristo (cfr. Catechismo par. 280). Man mano che la conoscenza scientifica è progredita sul piano cosmologico, la genericità della vecchia bibbia sull’argomento ha permesso ai teologi di adattare la Scrittura alle scoperte scientifiche, con un ragionamento che suona più o meno così: l’autore divino avrebbe potuto spiegare tutte le leggi che regolano l’universo, ma non lo ha fatto, sia perché l’umanità non era pronta a comprendere, sia perché 
egli non si proponeva di allargare la conoscenza scientifica dell’uomo, ma di salvarlo.  Pertanto la ricerca scientifica non solo non può contraddire ciò che Dio non ha detto, ma il suo progredire è un dono di Dio che, tramite essa, continua a rivelarsi (cfr. Catechismo par. 283). In effetti molti credenti si mostrano aperti e favorevoli all’evoluzione cosmica che ritengono conciliabile con la loro fede religiosa. Ma questo loro ottimismo non è facilmente condivisibile perché il cosmo biblico è inequivocabilmente concepito come immutabile e completo al suo nascere. Pertanto se si suppone vera la teoria evoluzionistica non si può credere al Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe; ma, tutt’al più, a quel “dio dei filosofi” che Pascal riteneva non identificabile col Dio di Gesù Cristo. Per il filosofo giansenista il dio dei filosofi non è cristiano perché si limita a mettere in moto la macchina del mondo senza più intervenire nel suo autonomo funzionamento: Non posso perdonare a Cartesio: egli avrebbe pur voluto, in tutta la sua filosofia, poter fare a meno di Dio; ma non ha potuto evitare di fargli dare un colpetto, per mettere il mondo in movimento; dopo di che, non sa più che farsene di Dio. (12)  . Quello di Cartesio e quello di Pascal sono due modi diversi di credere in Dio: il primo pensa Dio, il secondo lo sente. Cartesio crede perché ha dimostrato razionalmente che Dio c’è; Pascal perché nelle parole scritte nella Bibbia scorge Dio che si rivela. Il Dio di Cartesio rimane fuori dalla storia umana, indifferente e irraggiungibile nella sua trascendenza: questo Dio-ragione è il Dio della scienza e si esprime attraverso il creato e non attraverso il linguaggio prodotto dall’uomo. Inoltre è un concetto comune all’intera umanità e non predilige questo o quel popolo e tanto meno questa o quella persona. Il Dio della provvidenza, il Dio dei miracoli, il Dio dei patriarchi, il Dio della fede non può avere nulla a che fare con la vera scienza: fede e ragione “vivono su pianeti diversi”(13). La divergenza tra fede e ragione è assoluta e non superabile perché verte sulla loro stessa natura. Sulla natura della ragione non ci sono problemi: tutti, credenti e non, sono d’accordo nel considerarla la facoltà naturale dell’uomo che gli consente di argomentare e discorrere. Invece, sulla natura della fede non c’è la stessa unanimità: a chi la considera un sentimento o virtù di origine 
celestiale, dono e grazia di Dio, si oppone chi l’assimila ad una pulsione che emerge dalla zona inconscia della nostra psiche. In ogni caso la fede si presenta sempre avvolta da un alone di mistero, contrapponendosi alla trasparenza di un ragionare cosciente. Questa loro diversità fa sì che ciò che per l’una è motivo di vanto per l’altra è motivo di biasimo, ad esempio accettare come verità ciò che è palesemente assurdo (Credo quia absurdum est). Un’altra importante differenza consiste nella diversa mentalità di chi si abbandona alla verità di fede e di chi ricerca razionalmente la verità: Lo scienziato costruisce le sue teorie sulle osservazioni, sui calcoli matematici e sui riscontri di laboratorio; egli non “ritiene” né “crede”, ma constata. Il religioso dà autorità al suo argomentare attraverso l’ipse dixit, ovvero richiamandosi a personaggi antichi che, in quanto tali, sui fenomeni fisici e chimici e biologici ne devono sapere necessariamente meno di lui.    In campo scientifico non esistono verità assolute, la ricerca non si interrompe mai, per cui si è sempre disponibili a ridiscutere le scoperte effettuate e a cambiare le teorie che si consideravano vere. Per uno scienziato non è un dramma rigettare questo o quel principio quando si scoprono dei dati che lo confutano. Invece all’ecclesiastico manca l’umiltà di mettere in discussione le verità rivelate; egli, considerando immutabile le “verità di fede”, è disposto a fare carte false (e lo ha fatto in passato) pur di difenderle. Gli uomini di fede si compiacciono degli invalicabili misteri divini e li preferiscono all’evidenza dei fatti. Tuttavia spesso sono stati messi con le spalle al muro e costretti a rivedere le loro posizioni; ma la loro resa non è stata mai senza condizioni: di fronte ad un presunto errore della Bibbia hanno sostenuto con Agostino che “Non questo afferma la divina scrittura, ma questo intende l’umana ignoranza”. Partendo da questo principio si è consolidata la convinzione che, dove il testo sacro preso alla lettera potesse essere smentito dalla scienza, vale un significato simbolico o nascosto da ricercare. Così, ad esempio, l’affermazione che Dio ha avuto bisogno di sei giorni di lavoro per creare il mondo, non va presa alla lettera, ma è stato un espediente per istituire, dopo la settimana lavorativa, il giorno festivo da dedicare al Signore. Il simbolismo ha permesso alla Chiesa di cambiare, sotto l’incalzare 
della critica indipendente, l’interpretazione tradizionale senza dovere rigettare la Scrittura. 

NOTE AL CAPITOLO QUINTO  
1) H. von Glasenopp, Le religioni non cristiane, Feltrinelli, Milano 1964, pag.70. 2) G. von Rad, Genesi, Paidea, Brescia 1978, pag. 76. 3) Idem, pag. 26: “Le due fonti più antiche portano il nome di Jahvista (J) ed Elohista (E), in base all’uso loro caratteristico del nome di Dio. Lo Jahvista potrebbe essere collocato intorno al 950 e l’Elohista, forse, uno o due secoli più tsrdi. Il Deuteronomista (D) letterariamente occupa un posto a parte; lo si trova nel Deuteronomio (aggiunte e rielaborazioni deuteronomistiche, però, si hanno anche nel libro di Giosuè). La fonte più recente è la redazione Sacerdotale (P = Priesterschrift), la cui elaborazione (senza le aggiunte posteriori) va attribuita al periodo postesilico, a un dipresso tra il 538 e il 450”. 4) Idem, pag. 59 – 60. 5) Cfr. AA. VV., Astronomia, Grandi opere della Curcio editore, Roma, vol. III pag. 871. 6) La luce come tutti sanno non si diffonde istantaneamente, ma viaggia alla velocità di circa 3000.000 chilometri al secondo; essa per percorrere le enormi distanze cosmiche, in certi casi, impiega per arrivare sino a noi anche miliardi di anni, per cui noi non vediamo la sorgente luminosa com’è adesso, ma com’era nel lontano passato in cui le radiazioni luminose hanno iniziato il loro percorso nello spazio: ebbene, la luce che riceviamo oggi dai limiti dell’universo osservabile ha viaggiato per più di dodici miliardi di anni. 7) AA. VV., Astronomia,  op. cit., pag 925. 8) H. Reeves, L’evoluzione cosmica, Rizzoli, Milano 1997, pag 37. 9) Corriere della Sera, 07/01/2002 10) Cfr. in P. Davies, Il cosmo intelligente, Mondadori 2000, pag. 38.  11) G. von Rad, Genesi, op. cit., pag 52. 12) B. Pascal, Pensieri, Rizzoli (B.U.R.), Milano 1952, pag. 45 – 46, pensiero 77.  13) F. Nietzsche, Umano Troppo Umano, Oscar Mondadori, Milano 1970, pag. 86.        . 



































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