sabato 8 settembre 2018


Mafiosi e briganti
Tra l’essere mafioso e l’essere brigante ci sono delle differenze sostanziali, per cui un siciliano non userebbe mai il secondo termine per indicare un mafioso. Quest’ultimo agisce stando in seno alla società, circondato dal rispetto e dall’autorità ottenuti dispensando populisticamente protezione e giustizia spesso in  opposizione a quelle dello Stato. Uno Stato che il mafioso tuttavia è pronto a servire, condizionandolo, secondo il detto ‘Chi comanda fa legge, e chi vuole godere della legge deve stare con chi comanda’. Figura tipica di mafioso può essere considerato don Calogero Vizzini di Villalba (provincia di Caltanissetta) che nel 1943 favorì lo sbarco e l’avanzata americana, ottenendo in cambio dall’AMGOT la nomina a sindaco di Villalba.
Il mafioso non perde mai la calma e compie le azioni criminali nell’ombra per non essere ‘pigliato’ dalla giustizia statale, e se ciò accade, uscire dal processo assolto per insufficienza di prove diventa motivo di ulteriore prestigio.
Il brigante è invece un bandito che, come tale, si nasconde in luoghi solitari. A questa vita di fuggiasco lo ha portato un gesto di ribellione allo Stato (esempio: renitenza alla leva) o un delitto commesso a viso aperto, spesso per disperazione o per questioni di onore. Ne sono prova e testimonianza i molti briganti che infestarono le campagne meridionali nel periodo post unitario. In Sicilia possiamo citare come esempio il famoso bandito Salvatore Giuliano, che dalla mafia fu ucciso perché con le sue azioni banditesche faceva accorrere troppi sbirri sul territorio.

Questa distinzione tra mafiosi e briganti è da me tenuta presente nei racconti “Storie del secolo breve”. Mafiosi sono don Vito e Salvatore Liccali del primo racconto, mentre, nel terzo, Tano si può considerare un brigante. Dalla lettura della storia che li riguarda si capisce meglio la differenza.

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