martedì 23 maggio 2017



IL CONTRABBANDO DI ALCOOL NEL DOPOGUERRA
I militari, procedendo in punta di piedi, sbucarono in una vasta grotta al centro della quale troneggiava un bidone di rame non più alto di un uomo, ma che sembrava più imponente perché poggiava nei bordi su dei conci di tufo disposti a semicerchio. In questo focolare improvvisato bruciavano grossi ceppi di legna e le alte fiamme lambivano pure i fianchi del recipiente. Dal coperchio del fusto si dipartiva un tubo orizzontale che dopo un paio di metri, trasformato in una serpentina, spariva dentro un barile di latta (pieno di acqua per raffreddare il vapore), lo attraversava e spuntava in basso come rubinetto gocciolante dentro una damigiana di vetro (questo impianto in gergo veniva chiamato sceccu – somaro –  forse perché continuamente in attività, giorno e notte).
L’uomo, che smuoveva con una specie di fiocina i tizzoni per tenere viva la fiamma, non si rese conto della presenza degli intrusi in divisa finché questi, pistola in mano, non gridarono: «Mani in alto! Arrenditi!»

(Da “STORIE DEL SECOLO BREVE” di Alberto Di Girolamo)

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