POESIE CHE VENGONO DALL’EST
Evgenij Aleksandrovic Evtusenko
La poesia si riferisce al momento in cui il sarcofago con
la salma di Stalin fu tolto dal Mausoleo (su decisione del Partito Comunista) e
seppellito in una fossa scavata non lontano dal mausoleo stesso. Il feretro di
Stalin non fu ricoperto di terra, ma da colate di calcestruzzo liquido.
GLI EREDI DI STALIN
Taceva il marmo. Scintillava in silenzio il vetro.
Immobile stava la guardia, bronzea nel vento.
Intorno al feretro una lieve nebbia. Fluiva un alito tra
le fessure,
Mentre lo portavano fuori dal mausoleo.
Galleggiava lentamente sfiorando le baionette.
Anche lui taceva – anche lui – ma minacciosamente.
Stringendo tetramente i pugni imbalsamati
L’uomo nel feretro s’accostava a una fessura, fingendosi
morto.
Macchinava qualcosa. Si era messo lì solo per un
sonnellino.
E io rivolgo al governo una preghiera:
Sia raddoppiata, triplicata la guardia alla lapide
Affinché Stalin non si levi e con Stalin il passato.
(In Dissenso e
socialismo, Einaudi, Torino, 1977)
NOTA BIOGRAFICA
Evtušenko ⟨iiftušènkë⟩, Evgenij Aleksandrovič. - Poeta russo (n. Zima, Siberia, 1933). Tra i poeti più significativi della
generazione successiva alla morte di Stalin, ha unito nella sua opera la
rivendicazione della libertà di espressione e la denuncia del perdurare, oltre
la scomparsa del dittatore, dello stalinismo (Nasledniki
Stalina "Gli eredi di Stalin", 1962). Centrale
nelle sue opere è pure la rievocazione del paesaggio siberiano (Jagodnye
mesta ("Il posto delle bacche", 1981).